giovedì 7 maggio 2009

NAZISMO ARTICOLI

Giordano Bruno GUERRIErnst Nolte. Nel bolscevismo la genesi del nazismotratto da: Il Giornale, 24.5.1999, p. 20.Esce in Italia "Controversie" (Corbaccio, pp. 224, lire 28.000), il saggio scandalo dello storico tedesco padre del revisionismo che ha scatenato polemiche in tutto il mondo. Le potenze ideologiche contrapposte di questo secolo sono «orribili» ma hanno una loro «grandezza e tragicità». Ernst Nolte è uno storico capace di utilizzare la sua profonda conoscenza del passato recente per interpretare i nostri giorni e tentare di leggere il futuro. Padre del revisionismo tedesco negli studi sul nazismo e sul totalitarismo, di recente è intervenuto con originalità sulla guerra alla Serbia, definita un errore contrario allo spirito dell'Occidente, mutato dopo la guerra fredda e che oggi deve garantire stabilità ed equidistanza.[...] Anche per questo è considerato uno dei teorici più influenti della nuova destra tedesca, contrario tanto al liberismo radicale quanto alla globalizzazione e all'immigrazione senza controlli, mali da combattere con i «tre valori della destra» opposti agli utopistici libertà, uguaglianza, fraternità: la difesa e la valorizzazione della «differenza» fra gli individui e i popoli, la «gerarchia» (ovvero «la necessità che nella vita sociale il comando non venga discreditato o anarchisticamente inficiato») e l'«ordine», che «impone di evitare turbolenze sociali come la criminalità, legate a una immigrazione non regolamentata».Proprio perché la sinistra sta approdando agli stessi valori -senza volerlo riconoscere- Nolte viene attaccato di continuo non tanto per le sue idee sul presente e sul futuro, quanto su quelle che in anni ormai lontani hanno radicalmente cambiato parte della storiografia del Novecento.Nel 1963 la sua prima opera -"I tre volti del fascismo" quello italiano, il nazionalsocialismo e l'Action Française- gli valse la simpatia della sinistra internazionale benché contenesse in nuce le tesi di "La guerra civile Europea 1917-1945", del 1987: da allora la sinistra l'avrebbe osteggiato in ogni modo.Nolte accentuava l'idea del nazismo come reazione al bolscevismo, del quale riproponeva molte caratteristiche rovesciandone il segno, e soprattutto poneva il problema se l'«assassinio di classe» attuato a milioni dai bolscevichi non fosse il precedente logico e concreto dell'«assassinio di razza» nazionalsocialista. Stabilendo un nesso causale fra i gulag di Stalin e i campi di concentramento di Hitler, Nolte mise in discussione il tabù per cui l'Olocausto fu un fenomeno unico e specifico della storia.Ora sta per uscire in Italia, nella collana diretta da Sergio Romano, l'atteso "Controversie", pubblicato in Germania sei anni fa. Su richiesta di Romano, l'autore ha eliminato dalla prima parte («Controversie odierne») i capitoli più specialistici, riassumendoli nella prefazione all'edizione italiana che contiene anche un'analisi degli studi piú interessanti usciti dal 1993 a oggi.Peccato soprattutto per il capitolo sul problema se il nazismo sia stato una «monocrazia o una policrazia», perché la risposta si adatta anche a Mussolini e ai suoi gerarchi: «Il Terzo Reich fu una rigida monocrazia e, in quanto tale, poteva e doveva essere ai gradi inferiori del potere una sorta di policrazia».Della prima parte rimangono i due capitoli più attuali e interessanti per la loro capacità di scatenare polemiche, quelli sulla «soluzione finale» e sul «revisionismo radicale» che la mette in dubbio.Nolte combatte, a ragione, la diffusissima tendenza intellettuale che -basandosi sull'«unicità dell'Olocausto»- vuole «porre il comportamento di tutti i popoli rispetto al giudaismo come centro della storia universale».Quanto ai «revisionisti radicali» lo storico tedesco prende in considerazione, giustamente, alcune tesi con fondamento scientifico: l'importante è che ogni fazione culturale rinunci ai «progetti monumentali» e prediliga «la discussione scientifica, con la sua libertà di movimento, in un ampio spettro fra poli contrapposti».La seconda parte del volume è dedicata alle «Controversie future», in realtà già in atto anche grazie all'edizione tedesca del 1993: si inizia con il gustoso capitolo su «L'eterna sinistra», di cui diamo uno stralcio in questa pagina, poi Nolte sviluppa una personale interpretazione del bolscevismo e analizza l'antibolscevismo «bolscevico» di Hitler, il significato dell'antisemitismo nell'ideologia nazionalsocialista e la questione del nazismo come «male assoluto».Un altro saggio che potrebbe benissimo fare parte di "Controversie" su «Fascismo e totalitarismo», verrà pubblicato nell'imminente nuovo numero di "Nuova Storia Contemporanea" diretta da Francesco Perfetti.Sono temi che non è il caso di riassumere in poche righe ma che dimostrano quanto sia vera una tesi cara a Nolte: è doveroso, oltre che lecito, attribuire alle potenze ideologiche contrapposte di questo secolo «grandezza e tragicità», senza per questo ignorare quanto ebbero di orribile.
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01/11/2007 Augusto DEL NOCEFilo rosso da Mosca a Berlino (Hitler - Stalin)tratto da: Il Sabato, 11.4.1987, n. 15. Il dibattito su Gulag e Lager. Cosa accomuna due tragedie. Interviene Augusto Del Noce.Hitler e Stalin hanno un tabù in comune: il male. Avrebbero voluto dominarlo, estirparlo dalla storia. Chi identificandolo in una razza, chi in una classe. Perciò dire che Auschwitz rappresenta qualcosa di qualitativamente diverso dai kulaki è illegittimo.Un grande storico del pensiero spiega perché. Il Sabato ha dato ampio spazio alle controversie recenti riguardanti i genocidi che furono compiuti all'insegna della libertà, durante la rivoluzione francese (vedi Il Sabato n. 12, 1987) e tale contesa, destinata a essere oggetto essenziale del secondo centenario dell'89, è stata giustamente collegata con una polemica che si è svolta lo scorso anno in Germania nei riguardi della comparabilità o meno dei lager sovietici e dei lager nazisti (1). In questo loro incontro tali controversie si dilatano sino a portare ad approfondimenti di estrema importanza sia in rapporto al problema etico-filosofico della violenza che all'interpretazione generale della storia contemporanea.Trattando della polemica tedesca comincerò col parlare dei dire principali antagonisti, lo storico-filosofo Ernst Nolte a cui si sono affiancati i più illustri studiosi del periodo nazista (lo Hillgruber, lo Hildebrand, il Fest) e il sociologo Junger Habermas. Questa secondo, il più noto se non il più autorevole tra i rappresentanti presenti della scuola di Francoforte, non ha davvero bisogno di presentazioni.Del tutto diverso è il caso del primo della cui opera in Italia si è sentita assai poca eco, per quanto negli anni recenti dall'interpretazione "demonizzante" del fascismo si sia passati a quella che abitualmente vien detta revisionistica, quanto a dire dalla polemica alla storia. Passaggio che può essere dato, a parte brevi contributi anteriori - e mi sia consentito ricordare qualche mio lontano scritto - nel libro Der Faschismus inseiner Epoche che Nolte pubblicò nel 1963 e che fu tradotto in italiano con lo strano titolo I tre volti del fascismo, così da suggerire l'idea di un unica essenza del fascismo suscettibile di manifestarsi in una varietà di espressioni (il Nolte si occupava dell'Action française, del fascismo e del nazismo).Il fascismo cos'è.Effettivamente l'idea di un'essenza comune ai tre movimenti in quell'opera c'era, ma ne rappresentava la parte più debole; e rappresentava altresì il punto d'aggancio con le consuete interpretazioni che vedono nel fascismo l'epilogo del pensiero reazionario e controrivoluzionario in una via che ha origine nei primi critici della rivoluzione francese e che successivamente si secolarizza nella forma di irrazionalismo (2). Il punto essenziale che il Nolte aveva il gran merito di aver proposto era invece quello secondo cui soltanto una rigorosa analisi filosofica è in grado di render conto della storia contemporanea; si tratta di una storia che nasce dalla filosofia (si pensi infatti alla "filosofia che si fa mondo" di Marx) come la storia medioevale nasce dalla religione; altrimenti diventa inevitabile il lasciarsi fuorviare, come è avvenuto e avviene, dagli infiniti ed inesauribili aspetti secondari. Non che la persuasione che soltanto questa rigorosa problematica filosofica alla cui luce si leggono gli eventi, sia la sola a permettere quella revisione che coincide col passaggio alla storia; né si può dire che questo sia avvenuto, negli stessi autori che più si sono impegnati nella linea revisionista. Soggiungo che la reciproca è vera, e che se non ci si richiama a quell'interpretazione "transpolitica", di cui l'opera del Nolte rappresenta finora il più autorevole esempio, si ricade inevitabilmente nel "mito negativo" del fascismo come il "male radicale". Senza avvedersi che il male si presenta sempre in forme nuove e non esauribili e che fascismo e nazismo sono forme ormai lontane e spente, e perciò consegnabili alla storia, e che diverso, e non prevedibile durante gli anni trenta, è il male che oggi ci minaccia.Ora, Nolte in un articolo apparso il 6 giugno sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung si era proposto le seguenti domande: «I nazisti, Hitler, compiono un'azione 'asiatica' forse solo perché si considerano potenziali o reali vittime di un'azione 'asiatica'? L'arcipelago Gulag non era più originale di Auschwitz? L' "assassinio di classe" dei bolscevichi, non era il 'prius' logico e fattuale dell'"assassinio di razza" dei nazionalsocialisti?».E' affatto superfluo osservare come la domanda sulla priorità logica che è altresì priorità di fatto del Gulag rispetto ad Auschwitz non diminuisce affatto l'orrore per le camere a gas di questo campo. La domanda riguarda invece il loro nesso ideale, il fatto che non vi sia una continuità di principio tra le punte estreme del terrore giacobino (quali si manifestarono, ad esempio, negli innegabili genocidi della Vandea, che solo oggi in opere recenti hanno avuto documentazione piena), i metodi già approvati e incoraggiati da Lenin per distruggere i nemici del "popolo", il "grande terrore staliniano" (venti milioni di vittime), le stragi naziste, quelle di Mao (cento milioni, pare), del Vietnam, del regime di Pol Pot in Cambogia, fino agli orrori più recenti.A questa tesi della «metafisica sotterranea» immanente agli stermini, si oppone quella, di circolazione assolutamente prevalente dal '45 in poi, secondo cui i tempi nazisti rappresentano nella storia degli orrori un unicum. Da una parte i tanti orrori che si sono verificati nella storia, e ad essi apparterrebbero così quelli di Stalin come quelli di Cambogia; riconducibili a condizioni arretrate e a tradizioni barbariche dei popoli in cui erano avvenuti (così, ad esempio, è d'uso consueto il parallelo tra Ivan il terribile e Stalin) o a parentesi di follia in una storia che è pure storia della liberazione (la leggenda, nella rivoluzione sovietica, della «parentesi staliniana»). Crimine senza analoghi nella storia quello di Hitler. Auschwitz come il Golgota; là, la morte del figlio di Dio, qui la morte del Padre (la frase di "Dio morto ad Auschwitz" circolò infatti ai tempi dei "teologi della morte di Dio"). La nuova teologia avrebbe dovuto iniziare con la presa di coscienza di un dato di fatto "la morte di Dio ad Auschwitz", e diventò corrente per lo sterminio operato da Hitler un termine che non piace né a me né al Galli della Loggia (3) per il carattere nettamente divisorio che stabilisce rispetto agli altri orrori, e al conseguente sapore sacrificale-religioso, quello di olocausto.La ragione fondamentale su cui si fonderebbe questa distinzione qualitativa è la netta contrapposizione tra violenza rivoluzionaria e violenza reazionaria. Sostanzialmente inevitabile la prima pur se, nel mazzo, colpisce anche innocenti; si tratta certo di non compiacersene -e infatti i difensori di Stalin sono oggi pochi- di cercare di limitarla, ma, insieme, di dimenticarla; di assimilarla a una calamità naturale o a un momento doloroso ma difficilmente evitabile del progresso. La condanna della violenza reazionaria deve essere invece senza appello quale che sia.Le cose però non sono così chiare. Dobbiamo a questo punto affrontare il problema del rapporto ideale tra comunismo e nazismo, di quella priorità logica del Gulag di cui parla Nolte e del carattere, a suo modo, rivoluzionario del nazismo. E qui mi richiamo a un mio scritto che apparve su queste colonne (Il Sabato n. 13, 1983) in occasione del cinquantenario dell'ascesa di Hitler ai potere. Richiamandomi alle idee del Padre Fessard, originalissimo quanto dimenticato interprete dell'attualità storica (De l'actualité historique, 1960, si intitola la maggiore delle sue opere) sulla "comune origine ideale di comunismo e di nazionalsocialismo" vedevo nel nazismo l'esatto contrario dei comunismo, nel senso che ne riproduce, rovesciati, ma con completa simmetria, i caratteri. Realizzando, insomma, in pieno quella "rivoluzione in senso contrario" in cui già De Maistre vedeva il massimo errore in cui il pensiero e l'azione controrivoluzionari possano incorrere.Giungevo con ciò alla definizione del nazismo come del contraccolpo tedesco dello scacco che il marxismo aveva subito rispetto alla sua intenzione di rivoluzione mondiale e alla conseguente inversione, nei cui sviluppi è l'intera storia della Russia sovietica, per cui al primato della speranza nella rivoluzione universalmente liberatrice, si sostituisce quella del predominio della Russia tra gli altri stati.Bisogna parlare a proposito di comunismo e di nazismo di una prima simmetria nell'opposizione diametrale: alla società marxista senza classi e senza stato alla conseguente abolizione del Signore si oppone, nel nazismo, la lotta a morte per "il dominio del popolo dei signori". Ma questa opposizione non si spiega se non in relazione allo scacco e all'inversione di cui si è detto, ed è da essa che procede quella somiglianza e stima reciproca tra Stalin, simbolo di questa inversione, e Hitler.Subordinazione, dunque, dell'hitlerismo al momento staliniano - in realtà già presente in Lenin - della realizzazione storica del marxismo, onde in ragione di questa espansione dei popoli slavi, la paura per l'estinzione del germanesimo, come dato primo su cui il nazismo si organizza.A chi ubbidiva Hitler.Da ciò una conseguenza che penso importantissima: quel che spiega il nazismo non è affatto la continuazione, portata al punto ultimo della linea irrazionalistica del pensiero tedesco (sta qui la debolezza o quantomeno il limite di opere che pure sono importanti, quali Dai romantici a Hitler di Viereck o La distruzione della ragione di Lukàcs). Per intenderlo occorre isolarlo nella sua opposizione, che è insieme subalternità alla fase staliniana del marxismo; in questo isolamento e in questa dipendenza appaiono i tratti di quell'organica concezione del mondo, a cui Hitler obbedisce piuttosto che servirsene. Dalla prima simmetria è facile passare alle altre, e mi fermerò qui alle due fondamentali e complementari. Alla classe viene sostituita la razza, e si stabilisce quell'unità sino all'identificazione di nazismo e di antisemitismo che qualifica il nazismo; antisemitismo che, come oggi si tende a riconoscere (4), ha un suo carattere proprio, irriducibile agli altri antisemitismi della storia. Altra simmetria. Alla dimensione del futuro propria del marxismo si oppone il richiamo nazista alla dimensione del passato; alla laicizzata escatologia marxista che pone la società perfetta alla fine dei tempi corrisponde il mito nazista che la pone in una situazione anteriore allo sviluppo della storia. La rivoluzione nazista, sia pure nella forma di rivoluzione contro la rivoluzione, aveva il fine di realizzare un "uomo nuovo" che avrebbe dovuto corrispondere al tipo arcaico mai finora realizzato nella sua purezza, dell'ariano. L'opposizione dell'ariano e dell'ebreo prende la forma dell'antitesi di natura e di antinatura sul fondamento che solo l'uomo, tra tutti gli esseri viventi, cerca di trasgredire alle leggi di natura, e di fatto nello sviluppo storico vi ha trasgredito. Anche qui, allo storicismo marxista si oppone il più completo naturalismo; e forse questa è la formula più adeguata, capace di far intendere nel suo significato pieno.Questa simmetria nell'opposizione spiega anche come per il nazismo si debba parlare di rivoluzione ("in senso contrario" ho già detto) piuttosto che di reazione; all'odio per il bolscevismo si accompagnò nel nazismo quello per il vecchio mondo, provato dall'assenza di quel richiamo a qualche precedente età storica, che caratterizza il pensiero reazionario. Simboliche di questa attitudine sono le parole scritte da Goebbels all'epoca dei grandi bombardamenti: "in una con i monumenti della cultura crollano anche gli ultimi ostacoli che si opponevano alla realizzazione del nostro compito rivoluzionario. Adesso che tutto è distrutto siamo costretti a ricostruire l'Europa... Le bombe, anziché sterminare tutti gli europei, non hanno fatto che abbattere le mura del carcere che di tenevano prigionieri... al nemico che tentava di annichilire il futuro dell'Europa è riuscito soltanto la distruzione dei passato, in tal modo facendola finita con tutto il vecchiume e il sorpassato". In quello scritto di quattro anni fa mi sembrava di aver condensato, partendo da una fenomenologia filosofica, il risultato delle ricerche sul nazismo sino allora compiute, per quel che riguarda la sua essenza; e mi era parso che il riscontro tra questa fenomenologia e le opere strettamente storiche me lo assicurassero. E' superfluo dice che lo scheletro di interpretazione presentato allora conduce esattamente alle domande che il Nolte ha proposto e concordare colla sua soluzione. Non si può parlare infatti, per lui, di una singolarità e unicità dei crimini nazisti, altrimenti che nel riguardo del "procedimento tecnico della giustificazione".Il nemico oggettivo.Torniamo al problema della violenza rivoluzionaria. Chi sostiene i lager sovietici e i nazisti non può fondarsi che sulla distinzione tra due forme di violenza, la rivoluzionaria e la reazionaria: almeno parzialmente giustificabile la prima, anche se colpisce innocenti, condannabile senza appello la seconda. Come infatti si autogiustificano i rivoluzionari? Attraverso l'argomento dell' "umanità nuova". Il mondo diventerebbe un paradiso se scomparissero, senza lasciar traccia, a seconda delle varie forme, o i preti, o i borghesi, o gli ebrei. Il nemico "oggettivo" deve essere dunque "nientificato"; cancellato dalla faccia della terra, come se non fosse mai esistito; eliminato dallo stesso ricordo (si è spesso insistito sulla cancellazione della "memoria storica").La violenza rivoluzionaria è una forma di soluzione immanentistica del problema del male. Posta in questi termini la questione, si può certamente dire che le camere a gas riescono a dare l'immagine sensibile più compiuta di quella nientificazione che è intrinseca alla violenza rivoluzionaria; ma questa compiutezza non autorizza però a parlare di una distinzione qualitativa dalle altre forme. Ma ha poi fondamento la distinzione tra violenza rivoluzionaria e violenza reazionaria? Se si parla di violenza come progetto sistematico di annientamento, soltanto alla rivoluzionaria si addice tale qualifica, perché per essa la colpa sta nell'appartenenza a un ceto, a una classe, a una razza; nonché per il carattere di retroattività con cui le sue condanne sono motivate. Parlare di violenza reazionaria -si intende in quel preciso senso di cui si è detto, di nientificazione- è alla lettera un non senso: se ne ha una conferma nell'unico progetto controrivoluzionario che sia riuscito per una lunga durata nell'Europa di questo secolo: il franchismo.Lasciando ora da parte qualsiasi giudizio nei suoi riguardi e non negando certo il suo carattere antidemocratico, non si può certamente dire che, per quel che riguarda le persecuzioni e il terrore, sia stato anche lontanamente simile agli esempi che dianzi abbiamo ricordato. L'unico cimitero in cui sono state raccolte le salme dei caduti delle due parti è la dimostrazione più piena di come l'idea della nientificazione gli sia estranea.Il male del secolo.Come spiegare dunque la reazione, così dura, di Habermas. Egli nei discorsi "revisionisti", e in particolare in quello di Nolte, vede soltanto una manovra politica conservatrice, mascherata come ricerca scientifica. Scrive infatti a conclusione del suo secondo intervento, il 20 novembre: "ma i conteggi presentati da Nolte e da Fest alla grande opinione pubblica non servono alla chiarificazione. Essi colpiscono la morale politica di una comunità che, dopo una liberazione ad opera delle truppe alleate e senza un proprio contributo, è stata edificata nello spirito dell'ideale occidentale di libertà, responsabilità e autodeterminazione". Parole aspre che hanno il suono di una denuncia. Significa: gli intellettuali che si presentano come revisionisti e fanno finta di essere soltanto preoccupati di ristabilire la verità storica, sono in realtà dei neoconservatori preoccupati di ricollegarsi con la tradizione tedesca attraverso la cancellazione dell' "ossessione della colpa". La loro via è obbligata: non bastano infatti il parallelo su cui pure si insistette tra i campi di sterminio e il bombardamento di Dresda; la sola tesi che può acquisire una certa apparenza di plausibilità è quella secondo cui il Gulag sarebbe "più originario" di Auschwitz.Ma, in realtà, il suo ragionamento può venire rovesciato: la sua posizione corrisponde a quella che, spiegabile negli anni di guerra, si consolidò negli anni successivi per opera delle forme culturali neoilluministiche o neomarxistiche: di quelle cioè per cui le parti in lotta, che erano lo spirito del progresso e lo spirito della reazione per gli illuministi, la rivoluzione e la reazione per i marxisti. Lo spirito reazionario avrebbe perduto come di positività che ancora poteva mantenere nei passato contro forme inadeguate di progressismo (non per nulla la cultura di sinistra rivaluta oggi, per esempio,certi aspetti del pensiero di De Maistre o, dopo essersi impadronita di Nietzsche, flirta oggi con gli Schmitt, con gli Junger, eccetera). In questa totale perdita dei tratti positivi avrebbe dato luogo al fascismo, diventato perciò il "male del secolo". Il culmine del fascismo sarebbe stato il nazismo; e, per sostenere questo "mito negativo del male assoluto", occorreva l'asserto dell'unicità e della singolarità senza analoghi degli orrori a cui aveva dato luogo (e che nessuno, sia ben chiaro, intende sminuire; un orrore non cessa di essere tale per non essere singolare e unico).E poi venne il secolarismo.Il concetto di conservazione è relativo; dopo quarant'anni di predominio si è fatta oggi conservatrice la cultura di sinistra, che, del resto, come ben si sa, poco ha a che fare con riforme sociali davvero atte a ridurre gli squilibri e a realizzare il bene comune; e che, piuttosto, qualifica oggi in Occidente la borghesia illuminata. I mali presenti sono certamente estremamente diversi da quelli degli anni Trenta (per non parlare degli anni di guerra).Certo l'Europa ha goduto di un periodo di pace, per una durata quale mai nei secoli aveva conosciuto, ma perché non è negli interessi delle superpotenze che diventi zona di guerra. Si è avuto un aumento del benessere come conseguenza del progresso tecnico. Ma non voglio soffermarmi qui sull'altra faccia, del resto ben nota; e la cultura progressista si mostra incapace a superarne i mali.Associando la comparabilità dei campi sovietici e dei nazisti all'intrinsecità del momento della nientificazione del "nemico oggettivo alla violenza rivoluzionaria", il Nolte e gli storici tedeschi che gli si sono uniti hanno posto la cultura di sinistra in una condizione di crisi, che è realissima e insuperabile, anche se per ora vi si è rivolta soltanto l'attenzione di pochi. Ma occorre andar oltre, cosa che questi storici non hanno direttamente fatto, e che è compito soprattutto del filosofo: mostrare come fatto comune di queste forme rivoluzionarie siano il materialismo, l'ateismo, il secolarismo. All'idea progressista secondo cui il male del secolo sarebbe stato ed è ancora il fascismo (inteso come termine collettivo per le forme insieme antidemocratiche e anticomuniste) bisogna sostituire quella che è il secolarismo; in cui rientrano certo come sue forme il fascismo e il nazismo, ma non come le sole.NOTE(1) Se ne è già parlato anche in Italia. Particolarmente importanti gli articoli di Gian Enrico Rusconi Se Hitler non è più tabù, seguito dalla traduzione degli interventi di Habermas a cui Rusconi è sostanzialmente favorevole. In MicroMega ottobre-dicembre '86 e di Ernesto Galli della Loggia Un lager vale l'altro in Panorama, 8 marzo '87.(2) Per questa interpretazione, particolarmente in ciò che riguarda la connessione tra fascismo e irrazionalismo, è importante la lettura dello scritto di Norberto Bobbio L'ideologia del fascismo (1975, ora nell'antologia sulle interpretazioni del fascismo curata da Costanzo Casucci, in Il Mulino, Bologna, 1982 sgg).(3) Art. cit.(4) Si veda, ad esempio, nello stesso numero di MicroMega dianzi cit. l'art. di Wlodek Goldkorn Non tutti i Pogrom portano ad Auschwitz.
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28/04/2005 Ernst NOLTEHitler? creato da Stalintratto da: intervista di Giovanni Maria Del Re, tratto da Avvenire, 1.09.1999.Parla lo storico tedesco Ernst Nolte: la seconda guerra mondiale e la fine della guerra fredda. «Oggi c'è la tendenza a fissare il dogma del Führer unico colpevole. Termina ora un conflitto generale nato nel 1917»BERLINO. «La prima generazione della nuova repubblica di Berlino certamente ottempererà al suo dovere di ricordare. Ma non è affatto interessata». Il "Tagesspiegel", uno dei maggiori quotidiani della capitale, riassume così l'atmosfera che si respira in Germania per quello che dovrebbe essere una ricorrenza importante: oggi è il sessantesimo anniversario dell'invasione nazista della Polonia, coincidente con lo scoppio della seconda guerra mondiale. «La Germania è stanca di scusarsi per la guerra», riassume Mark John, il corrispondente a Berlino dell'agenzia Reuters. Forse John esagera, ma è vero che, soprattutto con il nuovo governo, le cose sono cambiate: lo scorso novembre il cancelliere Schröder - che nel 1945 aveva solo un anno - ha disertato la tradizionale celebrazione, in Francia, dell'armistizio che nel 1918 pose fine alla prima guerra mondiale (con la sconfitta tedesca), e poi ha brillato per la sua assenza quando il Bundestag ha deciso la creazione a Berlino di un monumento per le vittime ebree dell'Olocausto. A salvare le forme ci pensa, tra il disinteresse generale, il presidente tedesco Johannes Rau (con i suoi 68 anni appartiene alla generazione di Helmut Kohl), che oggi incontrerà il collega polacco Alexander Kwasniewski alla frontiera tra i due paesi. Del sessantesimo anniversario "Avvenire" ha parlato con uno dei più insigni, ma anche dei più controversi storici tedeschi, Ernst Nolte, noto per i suoi sforzi di reinterpretazione originale degli eventi della seconda guerra mondiale, spesso fruttatigli (a torto) accuse di revisionismo.Professore, 60 anni dopo, possiamo dire che la Germania hitleriana ha tutta la colpa dello scoppio della guerra?Ernst NOLTE: «La tesi della colpa unica di Hitler e del Terzo Reich è ormai diventato quasi un dogma, che acquista sempre più forza soprattutto fra i giovani storici, per i quali la "soluzione finale" diviene sempre l'evento centrale. Ora, si potrebbe dire che chi spara il primo colpo è colpevole della guerra. Ma vede, nel 1939 si assisté a un paradosso. Parlando di "colpa" bisogna insomma distinguere vari piani: Hitler fu per certi versi il vero colpevole della guerra, per altri no».Su questa guerra sono stati scritti numerosissimi libri, già il cinquantesimo anniversario, nel 1989, fu occasione per simposi, conferenze, discussioni. Rimangono ancora angoli da illuminare, aspetti che sono stati trascurati?Ernst NOLTE: «Grandi eventi e i loro contesti sono occasione di sempre nuove ricerche per numerose generazioni, c'è sempre qualcosa di nuovo o ignoto che viene alla luce, il che vale in modo particolare per la seconda guerra mondiale. Il problema è che oggi non si vede come altrettanto scontato il fatto che nuove analisi consentono anche nuovi modi di vedere l'evento: c'è la tendenza a fissare come definitiva l'interpretazione data dai vincitori (prima lei parlava del "dogma" della colpevolezza di Hitler) e bollare qualsiasi alternativa come "revisionismo"».Eppure nella ricerca emerge sempre più il ruolo di Stalin, sempre più si parla dei «crimini del comunismo». Questo non ha cambiato il quadro generale della guerra?Ernst NOLTE: «Vede, i "crimini di Stalin", o, per meglio dire: l'annientamento di classe da parte dei bolscevichi, erano noti da tempo e sono stati descritti in una vasta bibliografia. La corrente concezione che definirei "liberale di sinistra", tuttavia, non ha consentito che essi entrassero a far parte dell'interpretazione generale. Resta da vedere se qualcosa cambierà con la pubblicazione del "Libro nero del comunismo", ma non sono convinto».Stalin di fatto aiutò Hitler con il patto di non aggressione?Ernst NOLTE: «Certo. Anzi, proprio questo patto rese possibile la seconda guerra mondiale, ed è molto dubbio che Hitler, senza le gigantesche forniture di materie prime sovietiche, sarebbe riuscito a trionfare sulla Francia. D'altro canto, Stalin in questo modo pose i presupposti per la sconfitta di Hitler, coinvolgendo le forze "capitalistiche" in una guerra, che evitò che si verificasse quel che più temeva: la neutralità dell'Inghilterra.Le potenze occidentali sottovalutarono Hitler?Ernst NOLTE: «La cosiddetta politica dell'Appeasement (i toni concilianti usati con Hitler fino al 1939, ndr) oggi è controversa esattamente quanto lo fu all'epoca. Una cosa però è fuori discussione: un uomo come il premier britannico Chamberlain non era in grado di riconoscere in Hitler (come del resto in Stalin) quell'ideologo fanatico che era».Quando, 10 anni fa, si celebrarono i 50 anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale, la Guerra Fredda era ormai finita, ma l'Urss e la Germania Est esistevano ancora. Si può dire che quella guerra è per così finita davvero soltanto adesso, con il crollo dell'Unione Sovietica e la riunificazione tedesca, nonché l'ingresso di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria nella Nato?Ernst NOLTE: «Le rispondo che non la seconda guerra mondiale è finita, bensì la grande contrapposizione di ideologie e di politiche di potenza iniziata nel 1917 con la Rivoluzione di Ottobre. Una rivoluzione durante la quale Lenin dichiarò espressamente guerra alla "borghesia mondiale" e ai partiti socialisti "gialli" (e cioè riformisti). Questa contrapposizione non si sarebbe verificata senza la prima guerra mondiale, ma non ne fu un frutto automatico. Essa fu piuttosto il risultato dell'interpretazione comunista che fu data al conflitto e che può esser definito "pacifismo militante". Il quale, per via della sua connessione con lo Stato russo e poi sovietico provocò all'Ovest sia simpatie, sia forti opposizioni, finendo per costituire l'origine della "guerra civile europea dal 1917 al 1945"».
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19/05/2006 Ernst NOLTEQuell'«eterna sinistra» che odia l'ordine costituitotratto da: Il Giornale, 24.5.1999, p. 20.In tutta l'antichità classica venne abbozzata una dottrina del diritto dei poveri e dell'ingiustizia dei ricchi dominatoriAnticipiamo per gentile concessione dell'editore alcuni brani del libro dello storico tedesco "Controversie" (Corbaccio, 1999, pp. 224, lire 28.000) Enuncio qui la tesi secondo cui la presa del potere fu l'attacco più violento dell'«eterna sinistra», cioè di una tendenza emotiva e teorica che si scandalizza dell'ordine sociale costituito, poiché lo ritiene «ingiusto». Viene considerata ingiusta ogni situazione che dà a uno più beni e possibilità vitali che all'altro, che contraddice la «fratellanza» o meglio la «fraternità» che scaturisce dalla natura dell'uomo stesso, poiché in nessun luogo la natura fissa in modo cogente chi sia sovraordinato e chi subordinato, chi sia signore e chi sia servo, chi sia ricco e chi sia povero. Tutte queste «condizioni» sono nate piuttosto dalla violenza e dall'arbitrio, e possono e devono essere eliminate come «contro natura» (...).In tutta l'antichità classica venne tutt'al più abbozzata una dottrina del diritto dei poveri e dell'ingiustizia dei ricchi. La nostalgia di una condizione che non producesse più «rapporti» segnati dall'ingiustizia, perché fondata sull'eguaglianza degli individui, trovò la sua espressione nei cosiddetti «romanzi politici», che oggi chiamiamo «utopie», e che, per quanto trasfigurati da una ricca fantasia, conservano il ricordo di condizioni precedenti. Il concetto dell'«Eterna sinistra» deve essere comunque circoscritto.Quella sorda protesta che a Roma e in Grecia condusse all'insurrezione degli schiavi e alla rivolta popolare era solo la base dell'«eterna sinistra»; essa appare nella sua pienezza solo quando si realizza in una dottrina, una dottrina che intende il presente come regno dell'ingiustizia e ricorda il lontano passato, raffigurando il futuro sperato come il dominio della giustizia e quindi come il «regno di Dio» (...).In tutte le epoche civilizzate si possono trovare espressioni diverse dei sentimenti e delle passioni fondamentali dell'«eterna sinistra», le quali si nascondono spesso nelle pieghe dell'autocoscienza di una cultura, che ritiene i suoi costumi naturali e inattaccabili, ma che riemergono con forza nei momenti di crisi e con grande capacità di attrazione. Gracco Babeuf polemizzò con energia contro la giustificazione elementare della diseguaglianza, che sottolinea le diversità delle capacità dei singoli uomini ed esige un premio maggiore per il più capace, affermando «che sarebbe insensato e ingiusto esigere un premio maggiore per colui il cui lavoro esige più intelligenza, più diligenza e sforzo intellettuale; tutte queste cose infatti non ingrandiscono affatto la capacità del suo stomaco». La valutazione che stabilisce una gerarchia fra le attività o le capacità è una caratteristica peculiare dell'uomo, ma colui che esige una ricompensa quattro volte superiore alla media deve essere considerato un «nemico della società, che ne sconvolge l'equilibrio e ne annienta l'«inestimabile eguaglianza».Ogni tipo di ricchezza è quindi «furto e usurpazione» ed è un comandamento della giustizia togliere agli usurpatori quello che hanno rapito. Babeuf parla così del governo che deve scaturire dalla sua rivoluzione: «Esso farà scomparire i limiti dei campi, le siepi, i muri, le serrature delle porte, le liti, i processi, i furti e gli assassinii, tutti i crimini; i tribunali, le prigioni, le forche, le pene, la disperazione che tutti questi mali provocano».
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05/11/2007 Augusto Del NOCESpecchio delle sue brame (revisionismo Hitler - Lenin)tratto da: Il Sabato, 4.3.1989, n. 9, p. 55-57Hitler aveva un modello: Lenin. Ha sostituito la razza alla classe. Auschwitz al Gulag. Questo ha detto Nolte. Con ragione. Ridotta ai termini essenziali, la tesi che Ernst Nolte svolge nel libro testé tradotto presso Sansoni ("Nazionalismo e bolscevismo. La guerra civile europea, 1917-1945", Firenze, 1989) è la seguente: Lenin già all'inizio della Prima guerra mondiale aveva additato come compito dei socialisti la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile; si trattava dunque di una "dichiarazione di guerra civile" che il comunismo faceva al mondo, e questa guerra è avvenuta, anche se in una forma diversa e lontana dalle previsioni e dalle intenzioni leniniste; il soggetto perciò della storia contemporanea è "la guerra civile europea 1917-'45". Questo concetto nuovo era espresso nel titolo tedesco originario (La guerra civile europea 1917-1945), rispetto a cui "Nazionalsocialismo e Bolscevismo" era il sottotitolo; non riesco a intendere perché nell'edizione italiana questo ordine sia stato rovesciato.Si può osservare, e la critica sembra sin troppo facile, che non si tratta di una tesi nuova, che l'"affinità" totalitaria tra comunismo sovietico e nazismo è nozione comune, che quella frase di Lenin compare in tutti i manuali scolastici. Eppure, se si considera l'immensa letteratura che ha per oggetto la storia contemporanea, ci si accorge come all'asserto leninista sulla sostituzione della rivoluzione mondiale alla guerra mondiale non sia stato dato, al di fuori della letteratura marxistica in senso stretto e delle sue inaccettabili conseguenze, il rilievo di principio esplicativo primo. L'originalità di Nolte sta in questo: nell'avergli assegnato questa funzione in un senso dichiaratamente non marxista, anzi decisamente antimarxista. Da un punto di vista marxista, la sua sarebbe infatti giudicata una storiografia sovrastrutturalistica, passibile quindi della maggiore critica; un non marxista parlerà invece di interpretazione "transpolitica", quale infatti essa è.Se si prende sul serio, conferendole tutta la sua forza, l'affermazione leninista sulla sostituzione della rivoluzione mondiale alla guerra mondiale, come conclusione di questa, si deve arrivare alla tesi estremamente importante e sinora mai realmente svolta dell'interdipendenza tra tutti i fenomeni politici nuovi che sono avvenuti nonché degli anni tra il '17 e il '45, altresì dal '45 a oggi. Ora questa interdipendenza è stata normalmente dimenticata: si è generalmente pensato che il comunismo fosse storia russa, il fascismo storia italiana, il nazismo storia tedesca. Così si ripete, come proposizione ovvia, che la rivoluzione comunista già sconfitta nel '19-'20 in Germania come in Italia, ormai ridotta a spettro, è stata soltanto l'occasione perché si manifestassero mali endemici già allo stato virtuale nella storia delle nazioni dell'Europa continentale; particolarmente nella Germania, che troppo scarsamente aveva conosciuto la rivoluzione borghese e che aveva romanticamente combattuto la modernità; nell'Italia, in cui col fascismo avevano potuto manifestarsi tutti quei vizi che erana stati contratti nel periodo della Controriforma e delle dominazioni straniere ricoperti dalla retorica dei miti romani; quel complesso illusorio di superiorità connesso con un reale ritardo rispetto al processo della civiltà moderna. Interessi minacciati si sarebbero uniti con tutte le categorie dei sorpassati della storia, nella composizione dei fasci; e questa rivolta contro la razionalità del corso storico non aveva potuto trovare che guide irrazionali; in Italia, nell'avventuriero Mussolini, in Germania nel folle criminale Hitler. Pressoché l'intera pubblicistica, non soltanto italiana, segue questo modulo.Queste interpretazioni generali hanno il loro fondamento in due categorie interpretative, quelle di "modernità" e di "arretratezza", specificazioni delle idee che stanno a fondamento della comprensione illuministica della storia, di progresso e di reazione. Naturalmente, anche per la Russia si deve parlare di arretratezza; tuttavia il comunismo avrebbe operato nel senso del progresso rispetto alla situazione precedente: mentre fascismo e nazismo avrebbero rappresentato involuzioni rispetto al grado di civiltà già raggiunto dai Paesi dove avrebbero avuto luogo e, nel caso del nazismo, l'involuzione sarebbe stata tale, da raggiungere un unicum nella storia, la regressione dalla civiltà alla barbarie più radicale.Ora, la considerazione noltiana dell'interdipendenza per cui non si può parlare del nazionalsocialismo senza riferirsi al nemico contro cui ha preso forma, porta a una visione che è nuova. Per Hitler "in modo inconfessato l'odiosa figura terrorizzante era per lui in certa maniera anche il modello-guida" (pagina 97). Le interpretazioni consuete hanno parlato certamente dell'"odio" e della "paura"; rispetto al "modello" si sono generalmente limitate al rilievo del comune carattere totalitario, e queste categorie di democrazia e di totalitarismo, ancorché importanti, sono tuttavia insufficienti per una comprensione adeguata. In realtà, si tratta di assai di più: "Bolscevismo e nazionalsocialismo furono sempre delle antitesi, e lo restarono sino alla fine, ma non furono mai contrapposti l'uno all'altro in nessun momento in maniera contraddittoria e quanto più la guerra si avvicinava alla sua fine tanto più divenne conoscibile uno "scambio delle caratteristiche"" (pagina 415). E' una frase apparentemente un po' ermetica che si tratta di chiarire. Che cosa significa questa assenza di contrapposizione in maniera contraddittoria? Che il nazionalsocialismo è stato subordinato al comunismo nella sua opposizione; si è limitato a rovesciare il comunismo, restandone però l'immagine speculare; ha trascritto in termini biologico-naturalistici le categorie storico-sociali del marxismo. Fermiamoci sui concetti essenziali del comunismo e del nazismo, quelli di classe e di razza; la trascrizione biologica del secondo rispetto al primo appare evidente, e da questa prima opposizione dipendono tutte le successive: a una metastorica futura società senza classi corrisponde il mito della ritrovata purezza dell'ariano; all'ideale dell'eguaglianza, la società dei signori; alla pace universale che seguirà alla rivoluzione (e giustificherà ogni forma di terrore) l'esaltazione della guerra; e così via.Certamente, questa interpretazione importa l'abbandono del "mito negativo del male assoluto" che, come fenomeno unico nella storia, il nazismo avrebbe realizzato. Ma rappresenta insieme la critica più rigorosa, perché più ragionata, a cui il nazismo sia stato soggetto. Vi viene infatti dimostrato che esso, lungi dal rappresentare la difesa di quei valori che il comunismo minacciava, doveva portare invece alla stessa negazione, proprio perché non riusciva che a essere l'immagine rovesciata del comunismo.Perché in Germania più che in altri Paesi vi fu un terrore del marxismo che spinse la borghesia a darsi in braccio a Hitler abbandonando i principi della repubblica weimariana? Non dimentichiamo qui la pace di Versailles e quella "umiliazione della morale" che essa ha rappresentato. Alla disperazione tedesca si offrivano due vie di uscita, quella del nazionalbolscevismo e quella del nazionalsocialismo, e nelle ragioni decisive del successo della seconda vi fu il fatto dell'accordo del bolscevismo con gli interessi nazionali dello Stato russo.Che il libro di Nolte contraddica e sconvolga le abitudini di pensiero degli intellettuali di formazione laico-illuministica, si deve dare per scontato. La loro reazione è quindi naturale, ma la lealtà intellettuale non dovrebbe permettere il passaggio ad accuse di dissimulata apologia del nazismo, che pure furono mosse.Tale critica si è giustificata appuntandosi soprattutto su un particolare, astratto dal contesto: Nolte avrebbe "relativizzato" e "banalizzato" l'orrore unico e incomparabile dei campi di sterminio nazisti facendoli rientrare nella categoria dei genocidi. Ora, vediamo quel che Nolte aveva già detto in quell'articolo del 6 giugno 1986, Il passato che non vuol passare, che suscitò in Germania una polemica eccezionalmente aspra (con echi, per verità attenuati, anche in Italia) e che si riassume nella frase seguente: "[La soluzione finale] in quanto annientamento tendenzialmente totale di un popolo mondiale si distingue in modo sostanziale da tutti i genocidi ed è l'esatta immagine rovesciata dell'annientamento tendenzialmente totale di una classe mondiale ad opera del bolscevismo e in questo senso è pertanto la copia biologicamente coniata dell'originale sociale" (pagina 415).Effettivamente, dato il rapporto che pone tra comunismo e nazismo, Nolte non i poteva dir nulla di differente. Ma... ha detto poi qualcosa di tanto sacrilego? La memoria deve tener certamente sempre i presenti gli orrori di Auschwitz e degli altri campi: ma è proprio il miglior modo di ricordarli l'insistere sul "carattere unico" e incomparabile dell'olocausto, rischiando così di "relativizzare" e di "banalizzare" gli altri genocidi della storia, quelli che l'hanno preceduto e quelli che l'hanno seguito? E poi nella storia c'è un solo fatto unico e incomparabile (tale, ali meno, per il credente): l'incarnazione e la Redenzione, fatto soprannaturale. Ogni altro fatto storico ha degli "analoghi". Ma non mi piace entrare in questo discorso per evitare delle suscettibilità. Un discorso strettamente razionale può non essere sentimentalmente gradito; e tuttavia deve essere fatto, e il nesso causale tra i gulag e i campi hitleriani è indiscutibile.Si sono dette le ragioni per cui il discorso strettamente storico di Nolte contrasta così con la filosofia della storia marxistica come l'illuministica. Contrasta anche con quella che dovrebbe essere (parlo al condizionale, perché ancora non ha avuto una sistemazione rigorosa) l'interpretazione cattolica della storia contemporanea?Autonoma rispetto a intenzioni confessionali, la ricerca di Nolte sembra incontrarsi con quella che il pensiero cattolico ha già espresso per la parola dei suoi pontefici, da Benedetto XV in poi, anche se i suoi intellettuali non l'hanno poi adeguatamente elaborata.Limitiamoci qui a osservare come il tratto che unisce capitalismo, comunismo, fascismo, nazismo, sia proprio il "secolarismo" (dico "secolarismo" piuttosto che "secolarizzazione", perché questo termine è stato usato in tanti sensi ed è ormai così frusto che dispiace usarlo ancora). Sottrarsi all'idea storicamente insostenibile, come appunto il Nolte ha fatto, di vedere nel nazismo il male assoluto o nel fascismo il male del secolo, non per attenuarne le colpe, ma per risalire a qualcosa di più profondo, significa dimostrare l'inadeguatezza della cultura laico-illuministica a intendere la storia contemporanea. Quanto all'interpretazione marxista che ravvisava il male nel dominio della borghesia, la sua erroneità è stata dimostrata dal fallimento, sostanzialmente ammesso dai comunisti stessi, della rivoluzione proletaria mondiale. Non appare quindi oggi discorso edificante il dire che è proprio la comprensione del mondo contemporaneo a riaprire l'ascolto al pensiero della trascendenza religiosa.
Data inserimento:
14/07/2003








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