Massimo CAPRARACattolici sotto il tallone di Stalintratto da: Il Timone, maggio/giugno 2003, n. 25, p. 18-21.Stalin e il CristianesimoSua madre lo voleva sacerdote. Studiò in un seminario ortodosso. Ma Stalin divenne uno spietato persecutore dei cristiani. Voleva cancellare una volta per tutte il "cattolicesimo romano papista". Cinquant'anni fa, il 5 marzo 1953 morì Giuseppe Stalin. Anche quest'anno in Italia gruppi circoscritti di nostalgici hanno voluto ricordare la ricorrenza con intenti celebrativi. Assente in questi riti è stata la vergogna, che non può essere trascurata quando si tratta del nefasto personaggio in questione. Vogliamo scriverne anche noi con convinzioni del tutto opposte, di circostanziata condanna della ideologia chiamata comunismo, ricordando quelli che furono tra i peggiori delitti di quell'epoca "dalle idee assassine"; le persecuzioni della Chiesa cattolica in Urss, glorificando assieme il martirio di quanti lo patirono per aver mantenuto ferma la loro fede. Saremmo, però, incompleti se non precisassimo con cura le date di quel continuato eccidio.Fu nella primavera del 1922, quando la Russia sovietica si trovava stretta nella morsa della carestia e del massacro dei piccoli proprietari contadini, i kulak, che Lenin scrisse in un Memorandum per il Politbjuro: "È precisamente ora e solo ora che nelle regioni in cui c'è la fame la gente mangia carne umana e centinaia se non migliaia di cadaveri ingombrano le strade, che possiamo e perciò dobbiamo confiscare i beni della Chiesa con la più selvaggia e spietata energia (...) per assicurarci un tondo di molte centinaia di milioni di rubli d'oro".Dieci mesi dopo, egli morì. Nello stesso 1922, Stalin, nominato Segretario Generale del Partito comunista bolscevico, di fatto isola Lenin convalescente e interpreta, allargandola, la sua politica spietata. Essa compie con lui un salto di qualità e di quantità.Stalin ha ricevuto dal seminario teologico cristiano ortodosso di Tiflis, dov'è stato dal 1895 al 29 maggio 1899, una istruzione umanistica, anche di lingua francese, di consistente misura. Figlio di un ciabattino buono a nulla di nome Vissarion Dzugasvili che beveva e lo picchiava, mentre sua madre lo difendeva e voleva che diventasse un sacerdote, non perdette mai, ma rifiutò e nascose, il suo accento della Georgia, anzi dell'Ossezia orientale che, nel mondo, può essere solo messo in relazione con la lingua basca di Spagna, lontana dal Caucaso migliaia di chilometri. Egli fu, infatti, un grande russificatore slavofilo.Come perdette la fede, semmai l'avesse davvero avuta, è cosa poco nota, ma il suo interesse perverso per la religione è accertato: per ferirla e sradicarla. Eqli ebbe uno scopo dichiarato e organizzato: cancellare soprattutto il "cattolicesimo romano papista" e a questo scopo introdusse un sistema poliziesco polivalente, considerando i fedeli e il clero portatori d'una fede attentatrice dello Stato e del Partito.La struttura della Chiesa cattolica, dopo aver ricevuto assicurazioni nei giorni del colpo di stato bolscevico, venne colpita e sbaragliata fin dal 1926 e l'esistenza delle comunità cattoliche fu ridotta alla pura sopravvivenza, in condizioni dì clandestinità e isolamento, sempre controllata a vista. Alla fine degli anni '30, la Chiesa ortodossa fu ammessa, invece, ad usufruire di un sostanziale compromesso con il regime, rappresentato dalla "Dichiarazione di lealtà" firmata dal Metropolita Sergj (Stragorodskij) il 29 luglio 1927. Ciononostante, in un solo anno, nel 1931-'32, vennero passati per le armi 19.812 fedeli ortodossi. Non restava nemmeno uno dei quasi mille monasteri esistenti prima della Rivoluzione e si trovavano in libertà solo quattro vescovi ordinari.Dal 1937 al '41 vennero fucilati 110.700 membri del clero ortodosso, tra cui il locum tenens patriarcale Petr (Poljanskij), recluso da dodici anni in prigione. Nel 1939, sul territorio dell'unione Sovietica rimanevano aperte non più di cento chiese parrocchiali delle 55.000 funzionanti nel 1917, in cui celebravano circa 500 sacerdoti, contro i 115.000 del 1917.Nello stesso tempo, la lotta contro la Santa Sede divenne uno degli elementi fondamentali di un vero e proprio piano elaborato da Stalin per creare un "Centro religioso mondiale" a Mosca, celebrata come la "Terza Roma". Nella relativa Risoluzione ufficiale, sì calcava l'accento "sul carattere reazionario, antipopolare dei Vescovi romani", condannati come "anticristiani, antidemocratici e antinazionali". In particolare, si auspicava "la riunione delle Chiese dell'Europa orientale sotto la guida del Patriarcato di Mosca", in chiara alternativa al magistero di Roma. Nel dicembre 1943, Stalin personalmente chiese all'NKVD, la polizia segreta, un rapporto dettagliato sulla "situazione delle Chiese cattolico-romane" nel territorio sovietico, stabilendo che di esse avrebbero dovuto soprattutto occuparsi gli Agenti dei Servizi di sicurezza e il Soviet per gli Affari dei culti religiosi, appositamente costituito nella successiva estate del 1944.L'intero complesso di misure repressive era stato originato da un atto solenne: il 1° maggio del 1937 era stata disposta per legge "la messa al bando della stessa idea di Dio".La Chiesa del Cristo Salvatore venne demolita a Mosca per essere sostituita dal Palazzo dei Soviet, il cui progetto di 500 metri di altezza non riuscì mai ad essere realizzato. La Cattedrale della Madonna di Kazan a Leningrado fu trasformata in "Museo della religione e dell'ateismo". Fedeli e clero andarono quindi a costituire, senza essere più neanche distinti, la spina dorsale e numericamente qualificata dell'esercito dei detenuti nei gulag. Si trattò di 2.500.000 persone, suddivise in 500 colonie di lavoro, una sessantina di grandi campi e una quindicina di campi a regime speciale; inoltre, si contarono 2.750.000 "coloni speciali" come gli altri obbligati al lavoro coatto e non retribuito, ma in condizioni ancora più feroci.La Chiesa cattolica contrappose sempre una resistenza ostinata con il dissenso e con la pratica catacombale, come soprattutto la Chiesa greco-cattolica, della Polonia e dell'Ucraina. Nella sua Presentazione al bel libro di Michail Skarovskij, che uscirà fra breve per le Edizioni La Casa di Matriona, dal titolo "La Croce e il Potere", Giovanna Parravicini conclude: "Quando tutto sembra essersi consumato, profanato, quando è stata tirata una linea e satana si prepara a mietere il suo raccolto, proprio allora succede quello che nessun computer al mondo sarebbe in grado di preventivare, e chissà perché tutto ricomincia da capo".
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17/09/2007 Nikita STRUVEQuando il Soviet volle uccidere Diotratto da: Avvenire, 21.9.2006.Intervista di Edoardo CastagnaParla lo slavista Nikita Struve: «Il primo obiettivo dell'Urss era la morte del sacro, che al tempo stesso è anche la morte dell'uomo». «Se non conforme al partito, la verità era negata. A combattere rimasero solo geni come Mandel'štam e Solzenycin»«"Arcipelago Gulag",scritto sacrificando la vita dell'autore, aprì gli occhi ll'Occidente e mostrò la senescenza del comunismo» [...]Una crisi che, in Russia, discende anche da quella negazione della cristianità, praticata da settant'anni di comunismo, che lei ha analizzato nel suo «I cristiani nell'Unione Sovietica». Quali caratteri contraddistinguevano il regime comunista dell'Urss?Nikita STRUVE. Se non era conforme alle scelte del partito, la verità era sistematicamente negata. Il regime sovietico fu un regime di uccisione di Dio, dove l'obiettivo principale era uccidere Dio. E uccidere Dio - questa è la lezione della storia del comunismo - significa uccidere gli uomini. Nessuna ideologia ha ucciso così tanta gente - almeno cento milioni di persone in tutta la Terra - come il comunismo, nemmeno Hitler. Uccidere Dio: questo fu il significato del regime sovietico. E gli uomini: non solo nel corpo, ma anche dentro, nell'anima.Quale fu il ruolo della letteratura dissidente in Unione sovietica, da Osip Mandel'štam a Alexandr Solzenycin - del quale lei oltre che traduttore, è amico personale?Nikita STRUVE: Entrambi tentarono di salvare, con il loro lavoro, la verità, a prezzo del proprio sacrificio personale. Quando Mandel'štam scriveva i suoi versi e i suoi saggi, negli anni Trenta, nessun altro letterato lo leggeva. Ne era naturalmente consapevole, e sapeva che questo significava sacrificare la sua vita. Pure, lo fece: perché è proprio del genio il dire la verità. Solzenycin fece lo stesso, in un altro periodo. Un altro genio, forse lo scrittore più importante della seconda metà del Novecento. Anch'egli salvaguardò la verità, soprattutto con «Arcipelago Gulag». Uscì nel 1973, ma egli, scrivendolo, era convinto che non sarebbe stato pubblicato che dai suoi figli, alla fine. È un lavoro di verità, scritto con il sacrificio di se stesso, ed è qualcosa di unico, che va al di là del semplice dissenso. Mandel'štam e Solzenicyn sono, in un certo senso, degli assoluti.Quale forma letteraria assunse la loro reazione?Nikita STRUVE: Ci sono alcuni versi di Mandel'štam, dieci righe appena, nelle quali descrive Stalin. E lo descrive come un assassino. Così Mandel'štam salvò la verità, la verità profonda del reale. Poi, al confino, compose un ciclo poetico che direi è la migliore espressione della fede cristiana. Sottovoce, direi che era un "compagno" di Cristo, che andò a morire volontariamente. Un fatto estremamente impressionante, per un ebreo come Mandel'štam. Era stato battezzato, senza che questo assumesse per lui un significato particolare. L'aveva fatto soltanto per poter studiare all'università, senza avere vera fede. Fu il destino a completare il suo cammino: quel rispetto per la verità fu anche una "conversione" al cristianesimo.E Solzenycin? Ritiene che ebbe una reale influenza verso il crollo del comunismo?Nikita STRUVE: Sulla storia non lo so, ma sulle menti certamente sì; difficile valutare, restò in esilio per vent'anni. Io penso che il regime sovietico morì per la sua assurdità. Ma fu veramente importante che alcune voci di verità e di "resistenza" arrivassero in Occidente. Fu importante per mostrare la senescenza e la vacuità del regime comunista. Ebbe certamente un impatto sulla storia, anche se è complesso capire quale ne sia stata la portata. Però ha aperto gli occhi all'Occidente, soprattutto gli intellettuali occidentali. Che furono ciechi per troppo tempo.
Data inserimento:Enzo BIANCHITerza Roma rialzatitratto da: Avvenire, 15.9.1999.Ortodossi. La difficile via alla libertà della Chiesa russa, tra martirio e connivenze col regimePer le gerarchie vengono al pettine i nodi di 70 anni "atei" e una crisi della memoria Nell'estate del 1941 Hitler invade l'Unione Sovietica cogliendo di sorpresa un'Armata rossa dai quadri decimati dalle purghe staliniane di pochi anni prima. Alla vigilia della guerra la Chiesa ortodossa russa sembra sul punto di scomparire come istituzione visibile: le chiese vietate al culto o demolite sono più di sessantamila, nessuno degli oltre mille monasteri russi del 1917 è sopravvissuto, centinaia di vescovi, decine di migliaia di preti e monaci, centinaia di migliaia di fedeli sono stati uccisi... Altre Chiese minoritarie in Urss, come quella cattolica, erano già state dichiarate "scomparse" e costrette a rivivere nella clandestinità l'esperienza delle catacombe.L'impegno profuso dalla Chiesa ortodossa russa durante la guerra a sostegno della resistenza contro i nazisti permise se non una pacificazione nelle relazioni con lo Stato ateo, almeno una lunga tregua. Fu così permessa la convocazione di un concilio (fino ad allora impedita dalle autorità dopo l'interruzione forzata del grande concilio di Mosca del 1917-1918): fu eletto patriarca il metropolita Sergio di Mosca e, alla sua morte, un nuovo concilio elesse il metropolita Alessio di Leningrado, che proseguì la politica di lealtà al potere sovietico del suo predecessore. Entro certi limiti riprese la vita della Chiesa (apertura di chiese, di alcuni seminari e accademie teologiche, possibilità di pubblicare testi), seppur sotto il ferreo controllo dello Stato. Ma restava una sopravvivenza precaria.La destalinizzazione, inaugurata da Khruscev nel segno del "ritorno alla legalità leniniana", comportò anche un intensificarsi della propaganda antireligiosa, preludio a una vera e propria campagna di repressione (anche se non così cruenta come all'epoca staliniana). Nel 1961 il patriarca Alessio I e il concilio dei vescovi capitolarono (ma avevano scelta?) di fronte all'imposizione di uno statuto per la parrocchia che, di fatto, rendeva i funzionari di partito arbitri della vita della comunità cristiana locale. In questo modo fu possibile chiudere in pochi anni, e quasi "legalmente", più di diecimila chiese.I credenti erano discriminati: a scuola, sul lavoro, nella vita sociale... Chi resisteva era imprigionato. Dalla metà degli anni Sessanta si fece largo ricorso all'internamento negli ospedali psichiatrici come mezzo repressivo. Anche letteralmente, la croce di Cristo che i cristiani portavano su di sé ritornava a essere "follia per le genti"... Così, accanto al martirio di sangue testimoniato soprattutto nei primi decenni della rivoluzione, appare sempre più frequente anche il "martirio bianco": la privazione di quelle relazioni umane e di quella libertà che costituiscono la vita ben al di là della sopravvivenza biologica. Sono urla nel silenzio, grida di un amore ferito ma non vinto, lacrime che intercedono perfino per l'aguzzino.Del resto, proprio quello stesso Concilio del 1961 votò all'unanimità l'ingresso della Chiesa ortodossa russa nel Consiglio ecumenico delle Chiese. Per la Chiesa cattolica erano gli anni della preparazione del Vaticano II. [...]Certo, molto spesso si sentivano alti esponenti della gerarchia ortodossa ripetere all'estero che "le voci sulle persecuzioni dei credenti nell'Urss non hanno alcun fondamento"; in quegli anni, in seno alla stessa Chiesa russa, si levarono voci di dissenso critiche del regime e della politica ecclesiastica ufficiale. Quando conobbi all'inizio degli anni Settanta il metropolita Nikodim di Leningrado, allora presidente del Dipartimento per le relazioni esterne, mi disse che forse il suo nome sarebbe stato ricordato negativamente nella storia, ma che ogni cosa che aveva fatto, l'aveva fatta per amore di Cristo e della sua Chiesa. È con Nikodim comunque che molti giovani entrano nelle accademie teologiche, nonostante il controllo e la minaccia dei servizi segreti, ed è ancora Nikodim che riesce a ordinare vescovi giovani, ben preparati (tra cui l'attuale patriarca Alessio II e il metropolita Kirill di Smolensk, attuale presidente delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca).
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18/09/2007 Fulvio SCAGLIONEUn italiano nei gulag di Stalin. Padre Pietro Leonitratto da: Avvenire, 18.11.1999.La vicenda di padre Leoni, partito cappellano militare in Russia nel 1941 e rientrato in patria solo nel 1955Per il gesuita, formatosi come missionario al Russicum, il comunismo era distruzione della dignità umana Le pagine inedite, in quel "luogo" (della memoria, della politica, della storia) che fu l'Urss e che alcuni vorrebbero archiviare come fin troppo visitato, ci sono e sono molte. Bisogna però avere la voglia e la forza di scoprirle, in qualche caso di riscoprirle.Alzi la mano, ad esempio, chi ricorda un sacerdote esile, con il pizzo e gli occhialetti di metallo, la sua storia di missionario, l'udienza speciale che gli concesse papa Pio XII? E certe cronache dei giornali (anche quelli illustri) di 45 anni fa, che descrivevano questo gesuita italiano, nel maggio del 1955 appena rientrato in Italia dopo 10 anni di sofferenze nel gulag, come un uomo "il cui spirito è rimasto al punto di una situazione morta e sepolta"?La pagina di padre Pietro Leoni, originario di Montaltovecchio sull'Appennino tosco-emiliano, è stata appena riaperta da Mara Quadri (ricercatrice di Russia Cristiana) e Alessandro Rondoni (direttore de Il Momento, settimanale diocesano di Forlì) per conto dell'editore "La casa di Matriona" e dell'Aiuto alla Chiesa che soffre, che al missionario dedicano uno dei tre libri che inaugurano la collana "Testimoni", intitolato appunto «Pietro Leoni» (pp. 156, £. 16.000). Intendiamoci: anche il sacerdote ortodosso Anatolij Zurakovskij (fucilato in campo di concentramento, dopo ripetute detenzioni, il 3 dicembre 1937) e l'esarca dei cattolici russi Leonid Fedorov (morto il 7 marzo 1935 dopo aver subito carcere, gulag ed esilio), cui sono dedicati analoghi volumi, sono figure eccezionali di martiri per la fede e protagonisti di un periodo terribile e grandioso (il decennio 1920-1930) della storia sovietica. Ma è inevitabile che l'attenzione si volga alle vicende del padre Leoni, che furono eccezionali fino in fondo: il gesuita, infatti, morì libero ma non certo nel proprio letto, visto che mancò il 26 luglio 1995 facendo il bagno in un lago di quel Canada dove per tanti anni aveva infine servito la comunità russa.Padre Pietro Leoni, nato nel 1909, quinto di sei fratelli in una modesta famiglia contadina, era entrato in seminario nel 1922, nella compagnia di Gesù nel 1927 e al Collegio Russicum nel 1934, per venire infine ordinato sacerdote di rito bizantino-slavo nel 1939, destinato alla missione in terra russa. Anche nell'elenco dei dati e delle date, da noi volutamente reso scarno, si può sentire l'impatto di un'epoca precisa nella storia della Chiesa. La vocazione del giovane gesuita Leoni cresce e si rinsalda proprio negli anni in cui più forte in Vaticano e presso i fedeli si era fatta la preoccupazione per la sorte dei cristiani nell'Unione Sovietica.Il Russicum era stato fondato solo nel 1928 e accanto ad esso era nato il Pontificio Istituto Orientale, primi bastioni di un programma missionario concepito per rispondere alla persecuzione antireligiosa che, per tutti gli anni Venti, fa strage nel clero della maggioranza ortodossa come in quello della minoranza cattolica (nel 1939, dei 900 preti e religiosi presenti nel 1917 in Russia ne restavano solo 2), ma anche per lavorare a un obiettivo allora considerato non solo possibile ma prioritario: riunire i fratelli cattolici e ortodossi intorno al soglio di Pietro.Padre Leoni appartiene a una "leva" di 25 missionari usciti dal Russicum tra il 1935 e il 1939, alcuni dei quali entrarono poi nell'Urss in modo clandestino. Anche il sacerdote di Montaltovecchio arriva in Unione Sovietica ma nel 1941, come cappellano militare. E gli basta poco, in quelle terre ucraine dov'è arrivato al seguito delle truppe d'invasione italiane, per inquadrare certe realtà (l'impianto dittatoriale del bolscevismo; la natura oppressiva dell'occupazione nazista, che pure proprio in Ucraina godette di qualche seguito; l'intima complessità della Chiesa ortodossa, Chiesa di regime e Chiesa martire allo stesso tempo) senza perdere in fervore missionario.Rimpatriato da Dnepropetrovsk, con la ritirata italiana, nel maggio 1942, smobilitato nell'aprile 1943, padre Leoni rientra presto in Ucraina (a Odessa, dove c'è una comunità di 8.000 cattolici in gran parte di origine tedesca), appena in tempo per assistere all'avanzata sovietica. L'arresto arriva poco dopo la Pasqua del 1945: quando la guerra è ormai finita, anzi vinta, e Stalin cancella senza rimorsi quel poco di tolleranza religiosa che si era imposto per rinsaldare lo spirito del popolo russo di fronte ai sacrifici inumani imposti dal conflitto.Da quella data comincia per il gesuita una discesa negli inferi concentrazionari del sistema sovietico che avrà fine solo il 30 aprile 1955 e che, per durata e crudeltà, si avvicina molto a quelle descritte da Varlam Shalamov nei «Racconti di Kolyma» o da Aleksandr Solzenicyn in «Arcipelago Gulag». I cinque mesi dell'istruttoria tra la Lubjanka e il carcere d'isolamento di Lefortovo; la prima condanna a 10 anni di campo e il trasferimento nelle foreste di Mordovia; la seconda condanna a 25 anni nel 1947 e lo spostamento nell'incubo artico di Vorkuta; il tradimento, anche da parte di altri religiosi, e la pietosa condivisione della sofferenza con gli altri prigionieri e sacerdoti come lui reclusi, ma destinati a sparire nel gulag; le infinite punizioni (con il digiuno, l'isolamento, l'aggravio di lavori già bestiali), i non più rari ricoveri in infermeria o in ospedale...Eppure, e non sembri strano, nella storia di padre Leoni non è tutto questo che colpisce di più. Quasi sconvolge, invece, oltre che l'inflessibile spirito missionario di Leoni (che prega, celebra, converte, catechizza sempre, anche nei più duri lavori forzati, anche quando farlo potrebbe costargli la vita), la sua comprensione istintiva dell'essenza del bolscevismo. Partito anticomunista convinto, il gesuita presto afferra (e ne fanno fede i frequenti brani di memorie, citati da Mara Quadri e Alessandro Rondoni) che, come tutti gli apparati totalitari, il bolscevismo fu, nell'essenza, dottrina antropologica e non politica, soppressione sistematica della dignità dell'essere umano assai più che costruzione (pur deviata) di un diverso sistema sociale. Nella sua ostinata resistenza, il sacerdote che si poneva all'opposto il compito di elevare la dignità dell'uomo, diventava del bolscevismo il nemico primo. Potremmo dire: il nemico perfetto. In ogni gesto, in ogni atto, padre Pietro Leoni mostrava di averlo capito. E di andarne fiero. Antoine WENGERUnione Sovietica, cattolici sul Golgotatratto da: Avvenire, 15.10.1999.Il martirio dei credenti sotto Stalin raccontato attraverso i documenti del KgbDucentomila religiosi e milioni di cristiani periti nel gulagSgominati anche tutti i seguaci di Solov'ëv Per decenni sulla vita religiosa dell'ex Urss è filtrato pochissimo in Occidente. Soprattutto, sulle persecuzioni. Solo adesso, con l'apertura degli archivi sovietici, comincia a farsi luce su quel dramma. Un saggio di padre Antoine Wenger, già collaboratore del quotidiano "La Croix", ricostruisce "La persecuzione dei cattolici in Russia" dal 1920 al 1960 (San Paolo, pagine 360, lire 38.000). Anticipiamo alcuni brani del volume, basato sulla consultazione degli archivi del Kgb."La radicale distruzione della religione in questo paese, scrive Aleksandr Solzenicyn in «Arcipelago Gulag», obiettivo primario del Gpu-Nkvd durante gli anni Venti e Trenta, poteva essere ottenuta solo mediante l'imprigionamento in massa degli stessi credenti ortodossi. Si prelevarono, si incarcerarono o esiliarono intensivamente monaci e monache; vennero arrestati e processati gli attivisti della Chiesa. La cerchia si allargava continuamente ed ecco che si rastrellavano già i laici credenti, anziani ma soprattutto donne, che credevano con maggior tenacia: per lunghi anni furono soprannominate "monachelle" nelle prigioni di transito e nei lager".Aleksandr Jakovlev, anziano membro del Politburo, aderente a Gorbaciov e in seguito a Boris Eltsin, nel corso di una conferenza stampa, il 27 novembre 1995, ha comunicato una cifra approssimativa delle vittime della repressione religiosa: 200.000 preti, milioni di credenti. La stampa mondiale gli ha fatto largamente eco come se si trattasse di una rivelazione. Presidente della Commissione per la riabilitazione delle vittime della repressione del regime comunista, Jakovlev è ritornato sulla questione nel supplemento di «Rossjiskaja Gazeta» del 7 maggio 1996, in piena campagna per l'elezione presidenziale in Russia (16 giugno - 3 luglio). "Io presiedo - scrive - la Commissione per la riabilitazione. Ritengo sia mio dovere morale portare a termine questo lavoro. Quali resistenze dei cinovniki (burocrati) si sono dovute vincere! L'ultimo ukase del presidente sulla riabilitazione del clero ha girato un mese e mezzo sul tavolo dei capi (di sezione). Non volevano firmare: "Perché, dicevano, rimestare il passato?". Troviamo le stesse disposizioni dai burocrati intermedi. Ecco che qualcosa si muove. Sono pronti a tornare indietro. Al momento essi possono impunemente prendere bustarelle, fissare tariffe a dei (ricercatori) che in ogni caso, sotto i bolscevichi - se dovessero ritornare - essi metterebbero in prigione". (Effettivamente una pagina degli archivi del Kgb si paga oggi un dollaro).L'essenziale del rapporto della Commissione è stato reso pubblico da «Russkaja Mysl», nel numero del 18-24 gennaio 1997. Il documento copre l'epoca che va dal 1917 al 1980, parla soprattutto, trattandosi di cristiani, degli ortodossi, lasciando da parte i battisti, i cattolici e i greco-cattolici (o uniati), come se questi avessero vissuto in pace sotto il regime comunista, quando invece, nonostante il loro esiguo numero, figuravano nelle prime linee delle vittime della repressione. È ancora Solzenicyn che scrive al loro riguardo: "En passant furono sgominati e imprigionati tutti i "cattolici orientali" (seguaci di Vladimir Solov'ëv), così come il gruppo di A. I. Abrikosova. E, va da sé, finivano in prigione anche i semplici cattolici, i sacerdoti polacchi". Ho ricostruito la persecuzione religiosa contro i cattolici in Russia nell'era comunista. Le vittime provenivano da ogni ambiente ma soprattutto dal clero di origine polacca o tedesca e dalle terziarie regolari domenicane, autentiche russe che avevano abbracciato il cattolicesimo di rito orientale. I laici hanno tuttavia costituito di gran lunga il numero maggiore. Con loro il Kgb non si accollava procedure. Per semplice via amministrativa o quale misura di profilassi, mandava nelle paludi della Pinega, negli Urali del Nord o del Sud, nelle steppe del Kazakistan decine di migliaia di fedeli cattolici, considerati elementi socialmente nocivi. Sono morti senza che sia stato conservato il loro ricordo o che una croce indichi il luogo della loro tomba, sotto un regime che trovava piacere a livellare i cimiteri: si diceva per estendere il territorio delle città o le terre dei Kolchoz, ma in realtà si voleva far sparire ovunque il segno della croce e levare dagli animi il pensiero della morte.Dal punto di vista temporale, il gruppo dei perseguitati rappresenta l'era staliniana: Lenin, che non era meno persecutore, morì il 21 gennaio 1924, ma dal marzo 1922 un attacco cerebrale l'aveva ridotto all'inattività; la testimonianza dei confessori della fede di cui raccontiamo la vita va dal 1923 al 1960. Dal punto di vista dello spazio, copre l'immensità dell'Urss, sesta parte della terraferma: da ovest a est, da Minsk e Kiev a Vladivostok e Magadan; da nord a sud,dalle isole Solovki e Archangel'sk a Odessa e fino alle steppe del Kazakistan, alle frontiere della Cina.La forma della loro confessione è varia. Diverse furono le sentenze: dal semplice esilio nelle terre insalubri della foce dell'Ob-Obdorsk - oggi Salechard -, al deserto, bruciante d'estate e gelato in inverno, dell'Asia centrale, ai campi disseminati nell'arcipelago Gulag. Diversi furono i motivi della condanna, avendo i giudici l'avvertenza di evitare, ma senza negarlo, il motivo religioso: ministri del culto, comunità religiose o parrocchiali, insegnamento del catechismo, soccorso ai prigionieri prendevano davanti al giudice le diverse applicazioni dell'articolo 58, andando dall'organizzazione controrivoluzionaria e dall'agitazione antisovietica fino al tradimento.Identico era lo scopo perseguito: l'estirpazione della fede in Dio e delle Chiese cristiane: della Chiesa ortodossa innanzitutto, perché era quella della grande maggioranza dei cittadini russi; della Chiesa cattolica poi, perseguitata per una ragione in più in quanto legata a una "potenza straniera", in realtà a un principio di universalità, l'Internazionale dello Spirito, opposta alla Terza Internazionale che aveva come fine l'installazione del comunismo ateo nel mondo.Il mio lavoro, le cui fonti principali sono da un lato i documenti del Kgb e dall'altro la corrispondenza di monsignor Neveu, ci consegna solo il primo atto della passione dei martiri. Ciò che hanno subito in esilio, nei campi e in prigione, la fame, il freddo, la vergogna e l'umiliazione, la malattia e infine la morte, ci rimane sconosciuto. E cosa dire del clima nel quale hanno vissuto prima del loro arresto, la paura, il disprezzo, l'odio verso tutti coloro che riconoscevano Dio e la sua Chiesa in un ambiente ufficialmente e in modo militante ateo? Quanti si dicevano cristiani erano esclusi dall'università e da tutte le responsabilità dello Stato. Era già una fortuna se i cristiani anonimi potevano trovare lavoro e procurarsi il pane.Nel 1937, quando si svolgeva a Mosca il secondo grande processo dei capi comunisti, Neveu, che si trovava allora a Roma tra due udienze di Pio XI, scrive in un rapporto sul comunismo chiesto dal Papa: "Cos'è il comunismo? Un regime di terrore. Lo spionaggio e la delazione sono istituzioni di Stato. I genitori hanno paura dei figli. Gli operai e i contadini hanno paura gli uni degli altri. Gli scienziati e gli intellettuali sono costretti, per conservare il loro pezzo di pane, a piegare le ginocchia davanti al grande idolo e a confessare che la scienza deve essere materialista! La gente senza partito ha paura dei comunisti. I comunisti si fanno reciprocamente paura; Stalin, il famoso segretario generale del Partito, il despota senza corona, ha paura di tutti. Come Ivan il Terribile mandava a morte i boiardi che non gli piacevano, così lui fa morire gli ex capi del suo partito: non valgono molto più di lui, gli fanno paura. E la rivoluzione sociale, anch'essa divora i suoi autori. Tuttavia il terrore si abbatte principalmente contro i fedeli cristiani, contro i quali sono ipocritamente utilizzate tutte le procedure amministrative e tutte le crudeltà per portarli, se si può, all'apostasia. C'è bisogno di parlare del regime delle prigioni, dei campi di galeotti e dello scuro terrore che vi si esercita sui corpi e sulle anime?".
Data inserimento:
19/09/2007
Data inserimento:
21/09/2007
22/09/2007
giovedì 7 maggio 2009
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